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RICORDI
Suona la sirena...
Beppe Colombo sul  libro "Giocavamo alla guerra" - Memorie di giovani monzesi





maschera antigas

maschera antigas (foto d'archivio)

 
Il 20 ottobre 1942 morì mio padre. Avevo otto anni.
Quella data segnò una frattura nella mia infanzia.
Nato in una famiglia benestante di un piccolo industriale del cappello, mi ritrovavo orfano negli anni difficili dell'economia di guerra.
Di mio padre, una figura alta e magra dallo sguardo severo ma buono, ricordo il suo impegno durante le incursioni aeree notturne.
La sirena che dava l'allarme era posta sul tetto di una casa di via Monti e Tognetti, abbastanza vicina alla nostra abitazione: il suo suono molto forte creava panico.
La cantina della nostra casa era stata adattata a rifugio con il rinforzo di pali di legno, sulle vetrate che davano sulle scale erano incollate strisce di nastro adesivo, credo per resistere agli spostamenti d'aria, e sul muro esterno della casa, in corrispondenza del rifugio, era dipinta un'insegna per un improbabile intervento di soccorso.
Al suono della sirena, fatto di tratti brevi e ripetuti, le famiglie si precipitavano in rifugio portando con sé le poche cose di valore, le mamme recitavano preghiere, i bambini giocherellavano, mentre gli uomini all'esterno disquisivano di strategie belliche: "Senti i colpi della contraerea di Lissone", "Questo è il rombo dei cacciabombardieri"...
Il cielo notturno si illuminava a tratti a causa degli "spezzoni incendiari", mentre bagliori rossastri accompagnati da tuoni indicavano le zone bombardate in direzione di Milano.
Quando il suono prolungato della sirena annunciava il cessato allarme, tutti si tirava un sospiro di sollievo. A letto. Se la notte sarà ancora serena, sarà così anche domani...
Mio padre, in qualità di capofabbricato, aveva in dotazione una maschera antigas.
Credo di averla usata solo io per gioco. Il macabro oggetto se ne stava in un armadio accanto alla mia divisa di figlio della lupa: calzoncini grigioverde, blusa nera e bande di tela bianche incrociate sul petto e fissate dal monogramma mussoliniano.
Le rare volte che noi scolaretti delle scuole parrocchiali dovevamo partecipare a un corteo mia madre mi aiutava faticosamente a indossare la ridicola divisa, mentre mio padre manifestava irritato la sua contrarietà.
Di politica non si parlava mai apertamente. Mio padre se lo permetteva solo nel negozio dello zio parrucchiere che non doveva avere molti clienti ma amava discutere con papà degli avvenimenti politici e militari.
Del resto io avvertivo solo l'atmosfera tesa e preoccupata, soprattutto quando si imponeva in famiglia il silenzio assoluto in ascolto del giornale radio, gracchiato dalla monumentale radio posta su un tavolino in bella evidenza.
La guerra per noi ragazzi era qualcosa di scontato. Persino nei giochi ci si divideva a squadre tra eh preferiva la marina o l'aviazione.
Le ragioni vere del conflitto erano coperte dalla propaganda nazionale che non permetteva che si indebolisse il patriottismo. A ciò pensava anche la vecchia radio che dopo le notizie purtroppo poco allegre rincuorava gli italiani con inni baldanzosi, del tipo: "Vincere, vincere, vincere e vinceremo in cielo, in terra, in mare...
Anche la scuola ignorava i grandi problemi del momento e si limitava a farci adottare un soldato a cui scrivere patetiche letterine.
Penso alle leggi razziali. Quando si dovette compilare un modulo, alla voce "razza" l'indicazione della maestra era perentoria: "Scrivete tutti: ariana". Nessuna parola di commento. Subito dopo la morte di mio padre le cose cambiarono.
Mia madre volle che si sfollasse al suo paese natale nella bergamasca.
Il 25 luglio 1943 vissi per la prima volta tra i parenti contadini il senso di liberazione e di ribellione al fascismo. Le manifestazioni spontanee contro l'immagine del Duce non erano certo da gentiluomini. Anch'io mi ritrovai a sfregiare un medaglione da balilla con l'immagine e la scritta Dux.
Si sa, i bambini imitano gli adulti quasi per gioco. Ma intanto imparavo cose nuove. Lo sfogo delle persone semplici contro chi aveva voluto la guerra, contro le ingiustizie subite, era una lezione che la scuola non aveva dato.
Poi vennero le scelte più problematiche: dei compagni più grandi qualcuno scelse la lotta partigiana, qualche altro la Repubblica di Salò, a noi più piccoli restava la crudele impressione di alcune scene di violenza.

La scelta di campo era forse più emotiva che meditata.
Ricordo la mattina del 25 aprile 1945. Nel giorno dedicato alle Prime Comunioni dovevo essere in chiesa a fare il chierichetto. Mi presentai orgoglioso della mia coccarda rossa al petto. Il prete mi sorrise imbarazzato. Il giorno dopo mi regalò una coccarda azzurra.
Era cominciata l'epoca dei partiti.

Beppe Colombo



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 13 dicembre 2003